Vittorio Feltri, un Marchese del Grillo dei tempi nostri, forse
inconsapevole del ruolo ma di certo sincero nell’allocuzione che rivolge
al paese: “Voi straccioni, io 700mila euro”. L’affermato giornalista,
da decenni osservatore e fustigatore della politica e dei costumi,
opinion maker, sì insomma assemblatore di opinioni, indiscutibile punto
di riferimento della pubblica opinione orientata a destra, viaggiatore
sempre con successo da una testata all’altra del giornalismo appunto di
destra e vicino a Forza Italia, alla Lega e ad An quando c’era, ora
censore e correttore della linea ufficiale del Pdl, quasi sempre
reclamante appunto una linea d’azione più dura e pura da parte di
Berlusconi e alleati e ci si perdoni questo elenco interminabile come di
cognomi alla spagnola dei titoli di merito e presenza di Feltri nella
vita pubblica ma vanno almeno in parte riassunti, insomma quel signore
che spesso intervistato in tv dice cosa dovrebbe fare la destra italiana
quando sta al governo, sì proprio lui è stato invitato da Angelino
Alfano, segretario Pdl, a scendere in campo, a partecipare alle primarie
del Pdl, a passare dalle parole ai fatti, dalla cattedra, anzi dal
pulpito, al banco di prova e di lavoro. E come ha risposto Feltri? Con
meravigliosa sincerità: “Prima di tutto c’è una questione economica, i
parlamentari guadagnano da straccioni, io guadagno 700mila euro l’anno
ai quali non rinuncio”.
Meraviglioso Feltri, davvero uno di noi. Fa bene sentire uno che ha
la faccia di dire che le chiacchiere, anche quelle scritte sui giornali,
sono sì belle, ma non bisogna perdere i 700mila euro per rincorrerle
troppo queste chiacchiere. E’ istruttivo affacciarsi sul mondo dei
redditi da lavoro dalla prospettiva di chi può giudicare “straccione”
uno stipendio da 20mila lordi al mese, quello dei parlamentari. Allarga
il cuore vedere un uomo che forma l’opinione dei suoi concittadini
assicurarsi, prima di muovere un passo, che lui niente ci rimette e
domandarsi: sì, va bene, ma i soldi? E’ genuino, verace e per nulla
ipocrita Feltri, è sempre stato così, anche quando guadagnava molto meno
ed era molto meno noto: la sua confessata e rivendicata bussola erano i
soldi e la stella polare della sua rotta era, a suo orgoglioso dire, lo
stipendio più alto. Davvero uno di noi Feltri e sia detto senza alcuna
ironia, uno in perfetta sintonia con la stragrande maggioranza del paese
che a differenza dell’americano “giusto o sbagliato, è il mio paese”,
italianamente pensa: “diritti o storti, sono i cavoli miei”. Così gli
americani si dicono che alla fine quando si tratta di scegliere quel che
conta è il paese, così gli italiani si dicono che alla fine quel conta
sono i cavoli propri.
di Giornalettismo
Un trafiletto del fatto a firma
dell’ottimo Vittorio Malagutti ci racconta un episodio curioso che
appartiene alla vita di Vittorio Feltri, baby pensionato andato in
ritiro del 1997 a 52 anni:
Per rimettere in sesto i conti pubblici
bisogna innanzitutto intervenire sulle pensioni innalzando l’età in cui
si smette di lavorare.
La ricetta, in verità non nuovissima,
arriva da Vittorio Feltri che martedì sera durante la trasmissione “In
Onda” condotta su La7 da Luisella Costamagna e Luca Telese, ha detto la
sua sulla manovra appena varata dal governo. “Bisogna fare come la
Germania”, ha detto sicuro l’editorialista de Il Giornale. “Tu t t i
sanno che in Germania si va in pensione a 67 anni”, ha spiegato Feltri,
“mentre noi ci ostiniamo ad andarci a 58,59, 60”. Tutto vero, come no.
Anzi, a volte capita perfino che qualcuno riesca a raggiungere
l’agognata pensione anche prima, molto prima. Feltri per esempio ce l’ha
fatta a soli 53 anni, nel 1997. Una pensione d’o ro : ben 347 milioni di
lire all’anno, circa circa 179 mila euro, a carico dell’Inpgi,
l’Istituto previdenziale dei giornalisti. Da allora Feltri ha continuato
a scrivere e a dirigere giornali, ricevendo ricchi e meritati compensi e
spiegando al mondo intero che è meglio per tutti se si va in pensione a
67 anni.
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