“Work isn't a right”, ovvero, “Il lavoro non è un diritto” ha tuonato
Elsa Fornero in un'intervista concessa ieri al Wall Street Journal. Ma
non si tratta di una gaffe, come invece hanno commentato diversi
quotidiani nostrani.
L'espressione è del tutto coerente con ciò che il ministro pensa e fa con feroce determinazione sin dal suo insediamento. Proprio ieri – con il sostegno determinante del Partito democratico – il parlamento ha trasformato in legge dello stato la cancellazione dell'articolo 18, il prosciugamento degli ammortizzatori sociali e la piena conferma dell'impianto legislativo responsabile del diluvio di precarietà che ha precipitato nel dramma esistenziale un'intera generazione.
Chi oggi mostra di indignarsi davanti ad una frase che suona come il ripudio più netto ed inequivocabile della Costituzione, ma dentro il parlamento promuove ed esalta le gesta di quel ministro approvandone con il voto ogni nefandezza, fornisce una prova di ipocrisia senza pari.
Ora Monti va al summit europeo con lo scalpo del diritto del lavoro in mano a mendicare improbabili misuricchie che allevino la tensione sui titoli del debito sovrano. Otterrà qualche pacca sulle spalle e nulla di sostanziale che possa anche solo contenere le devastanti incursioni della speculazione, perché l'Europa delle banche – prima ancora che l'ostinazione della signora Merkel – lo impedirà.
Gli affamatori del popolo che impongono austerità a senso unico stanno in realtà precipitando l'Italia in una recessione da cui sarebbe possibile risollevarsi con politiche economiche e sociali opposte a quelle all'olio di ricino somministrate da questo governo ad un paese già sfibrato. Politiche fatte, in primo luogo, di sostegno ai redditi e all'occupazione.
E invece cosa succede? Ieri la banca Monte dei Paschi di Siena, per risanare i propri conti ha chiesto e ottenuto, complessivamente, un prestito di quasi tre miliardi e mezzo di euro dallo Stato. Cosa ne farà? Ebbene, chiuderà – grazie a questa iniezione di denaro pubblico, cioè nostro – 200 filiali e taglierà 4.600 posti di lavoro. C'è da essere certi che i mercati apprezzeranno. Esulta anche Alessandro Profumo, ora presidente del gruppo senese, colui che due anni fa ricevette da Unicredit, come buona uscita, la sommetta di 40 milioni di euro.
Così va l'Italia in crisi. Questa è la medaglia double-fax dei pochi che si arricchiscono dissanguando i tanti che non sanno più come tirare a campare.
Due giorni fa il parlamento avrebbe dovuto approvare il il tetto – con l'asticella posta a 300mila euro annui – agli stipendi (sic!) dei grand commis di stato, ma non se ne è fatto nulla.
Ecco, queste brevi note, frutto della cronaca spicciola degli ultimi due giorni, dicono dove stiamo andando, per il bene e per il danno di chi, e chi suona la grancassa.
Il solo commento utile è che questo governo che sta volgendo in tragedia le sorti dell'Italia se ne deve andare, ma che solo un cambiamento profondo può salvare il paese. Una sinistra, quella estromessa dal parlamento, che sapesse ritrovare le ragioni della propria unità, potrebbe alimentare questa speranza.
L'espressione è del tutto coerente con ciò che il ministro pensa e fa con feroce determinazione sin dal suo insediamento. Proprio ieri – con il sostegno determinante del Partito democratico – il parlamento ha trasformato in legge dello stato la cancellazione dell'articolo 18, il prosciugamento degli ammortizzatori sociali e la piena conferma dell'impianto legislativo responsabile del diluvio di precarietà che ha precipitato nel dramma esistenziale un'intera generazione.
Chi oggi mostra di indignarsi davanti ad una frase che suona come il ripudio più netto ed inequivocabile della Costituzione, ma dentro il parlamento promuove ed esalta le gesta di quel ministro approvandone con il voto ogni nefandezza, fornisce una prova di ipocrisia senza pari.
Ora Monti va al summit europeo con lo scalpo del diritto del lavoro in mano a mendicare improbabili misuricchie che allevino la tensione sui titoli del debito sovrano. Otterrà qualche pacca sulle spalle e nulla di sostanziale che possa anche solo contenere le devastanti incursioni della speculazione, perché l'Europa delle banche – prima ancora che l'ostinazione della signora Merkel – lo impedirà.
Gli affamatori del popolo che impongono austerità a senso unico stanno in realtà precipitando l'Italia in una recessione da cui sarebbe possibile risollevarsi con politiche economiche e sociali opposte a quelle all'olio di ricino somministrate da questo governo ad un paese già sfibrato. Politiche fatte, in primo luogo, di sostegno ai redditi e all'occupazione.
E invece cosa succede? Ieri la banca Monte dei Paschi di Siena, per risanare i propri conti ha chiesto e ottenuto, complessivamente, un prestito di quasi tre miliardi e mezzo di euro dallo Stato. Cosa ne farà? Ebbene, chiuderà – grazie a questa iniezione di denaro pubblico, cioè nostro – 200 filiali e taglierà 4.600 posti di lavoro. C'è da essere certi che i mercati apprezzeranno. Esulta anche Alessandro Profumo, ora presidente del gruppo senese, colui che due anni fa ricevette da Unicredit, come buona uscita, la sommetta di 40 milioni di euro.
Così va l'Italia in crisi. Questa è la medaglia double-fax dei pochi che si arricchiscono dissanguando i tanti che non sanno più come tirare a campare.
Due giorni fa il parlamento avrebbe dovuto approvare il il tetto – con l'asticella posta a 300mila euro annui – agli stipendi (sic!) dei grand commis di stato, ma non se ne è fatto nulla.
Ecco, queste brevi note, frutto della cronaca spicciola degli ultimi due giorni, dicono dove stiamo andando, per il bene e per il danno di chi, e chi suona la grancassa.
Il solo commento utile è che questo governo che sta volgendo in tragedia le sorti dell'Italia se ne deve andare, ma che solo un cambiamento profondo può salvare il paese. Una sinistra, quella estromessa dal parlamento, che sapesse ritrovare le ragioni della propria unità, potrebbe alimentare questa speranza.
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