Il 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora
si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava
finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro. Oggi ne esce, con la
controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente
reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non è
più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione
selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il
bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e
detto che di fronte all’ attacco all’articolo 18 avremmo fatto le
barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e
alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non è stato così,
mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura
sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera
adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e
dalla precarietà? No, colpa dei dirigenti di quello che una volta
definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil. Non
è vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla
mobilitazione. È vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un
movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di
iscritti a Cisl e Uil. C’era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a
Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato
16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che
si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale,
maggioritario nel paese.
Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla
portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo
in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico.
Ed è per questo che non si è fatto. La squallida mediazione definita tra
i partiti di governo si è trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil
hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più
grave, ha accettato la mediazione che cancellava l’articolo 18 facendo
finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione
delle lotte è saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la
propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni
di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro
politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio
han continuato eroicamente a scioperare. I sindacati di base hanno
generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo
conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso
mentre ossessivamente grida: viva Monti, viva l’euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche
centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà, e con gli
organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per
coprire le voci dell’assemblea spontanea che si stava svolgendo in una
parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come è maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come è maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e
dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo
provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa
sconfitta. Senza fare sconti a chi ne è più responsabile nel sindacato, e
senza dimenticare mai più la colpa di Monti e del Pd che lo sostiene.
Dei quali dovremo essere solo intransigenti avversari.
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