Merito della FIOM averci consentito una discussione politica, e
pubblica, come non eravamo più abituati. Che sia un soggetto sociale a
farlo la dice lunga sullo stato attuale dei corpi partitici, ma anche
delle potenzialità che ancora ci consegna quella particolare storia
nostra che aveva fatto parlare in tempi che sembrano lontanissimi di
caso italiano proprio pensando a soggettività ricche come quella
metalmeccanica. Dobbiamo alla FIOM, ma anche a tutti noi, provare a
continuare questa discussione in forma allargata e trasparente e il più
possibile trasversale.
1) Dove siamo.
Siamo nel pieno di quella che chiamerei crisi costituente. Una
crisi reale, globale ed europea. Una crisi aperta a vari esiti, anche
catastrofici. Ma tra le varie ipotesi avanzate, anche nel dibattito
organizzato dalla FIOM, tra cui il rischio del riproporsi delle
condizioni che portarono al fascismo o quello di un crollo rovinoso
dell’euro, io penso piuttosto che quello che si sta provando a fare e’
realizzare un nuovo assetto, che definirei come tecnocrazia
postdemocratica, funzionale al compromesso tra capitale finanziario e
mercantile, che seppellisca definitivamente quello che e’ stato chiamato
il modello sociale europeo. Che questa sia la bussola che orienta
l’agire dei poteri che agiscono a cavallo tra sistema mondo ed Europa mi
pare esplicito dalle loro stesse dichiarazioni. Ed anche, cosa che
conta ancor più, soprattutto dai fatti. In questi due anni di crisi
acuta l’Europa di cui tanti dicono che non abbia sostanza politica, ha
prodotto una mole di decisioni che stanno modificando strutturalmente il
suo assetto sociale e democratico. Mentre quasi tutti guardano ai
conflitti tra Stati, e in particolare al ” problema tedesco “, si fa
troppo poca attenzione al complessivo spostamento dei rapporti sociali
che sta trasversalmente indebolendo i lavoratori e i soggetti della
cittadinanza, togliendo potere alle coalizioni di lavoro e privatizzando
le sfere un tempo inscritte nel welfare. Questo vale dalla Germania
alla Grecia, naturalmente con gradazioni ed intensità diverse.
Analogamente quando si sottolineano le divisioni tra Governi si
sottovaluta enormemente il livello di governante tecnocratica che viene
realizzandosi a partire da Europlus, ora con il Fiscal Compact. Per
questo si rischia di trovarsi spiazzati quando si scopre che e’ proprio
la signora Merkel a indicare la strada su cui continuare questo percorso
verso una cosiddetta unione federale. Ma basta guardare alle
Raccomandazioni per gli obblighi di bilancio e per la crescita che la
Commissione Europea ha predisposto per il Consiglio Europeo di fine
luglio per vedere che si sta marciando su una road map che sicuramente
sta in un terreno minato ma che ha una sua rotta. Oltre alle 27 lettere,
una per Paese, sugli obblighi di bilancio da rispettare, e alle
indicazioni per tutti di affidare la crescita alla liberalizzazione dei
mercati del lavoro e dei servizi pubblici, si cominciano a mettere i
primi tasselli per estendere l’Unione dalla politica monetaria e di
bilancio verso quella di integrazione fiscale e bancaria. Sono queste, e
non altre come ad esempio la europeizzazione del debito e delle
politiche di sviluppo, le prossime tappe che vengono indicate. E questo
perché nella riscrittura neoliberale dell’Europa alla variabile
indipendente moneta si sommeranno quella bancaria e quella fiscale
intese come levatrici della natura totalmente ed indiscutibilmente
mercificata dei fattori produttivi e delle relazioni sociali. E magari
usate anche per modulare una qualche flessibilizzazione della moneta
stessa. Naturalmente tutto ciò aiuta anche gli interessi forti della
Germania, ma ha un segno sociale complessivo. L’ ambito disponibile per
una nuova integrazione politica èdunque quello che rafforza la
governance tecnocratica ma non prevede reali interfaccia democratici. Il
soggetto politico dominante di questa Europa a venire e’ il
supergoverno tecnocratico, con nuove figure come quella di un ministero
fiscale, ma fuori dal vecchio assioma liberale del ” no taxation without
rappresentation “. Al contrario si pensa di sostenere il governo con
una elezione diretta senza che vi sia un Parlamento Europeo che venga
lui si eletto a suffragio europeo generale e che abbia poteri
legislativi e di elezione del governo stesso. Naturalmente questa strada
non e’ certo una tranquilla gita di campagna ed e’ esposta alle
tensioni formidabili che si registrano nel sistema mondo e nel sistema
Europa. Ed e’ sottoposta anche alle tensioni sociali che sono ancora
capaci di provare ad influire sul corso degli eventi.
2) Da dove veniamo.
La domanda si pone a questo punto come necessaria a capire proprio
perché le sofferenze sociali di quei mondi, quello del lavoro e della
cittadinanza, che tanto hanno influito nel costruire il modello sociale
europeo, non riescano ad alimentare una possibile alternativa. Su questa
domanda cruciale la rimozione rischia di essere drammatica. Si parla di
una fase storica a dominio politico e culturale delle destre capaci di
sfruttare la forza della globalizzazione quasi come se le sinistre di
questa fase siano state semplici spettatrici. Naturalmente parlo in
particolare di quelle europee e tra loro della prevalente quella
socialista. Quella che ha considerato la globalizzazione una occasione
ponendosene al servizio e che ha partecipato in prima persona alla
edificazione dell’Europa a modello neoliberale. Non si tratta qui di
voler colpevolizzare qualcuno ma di essere coscienti della realtà dei
processi storici che ci sono stati. Ne ce la si può cavare gettando la
croce sugli uomini della cosiddetta terza via blairiana. Fu il governo
Mitterand, dopo la rottura con i comunisti, a dare il via libera alla
liberalizzazione dei mercati finanziari che anticipò quella di Clinton. E
fu Delors, che di Mitterand era stato ministro delle finanze, a
portarla a livello della UE della cui Commissione era diventato
Presidente. All’ epoca dell’avvio della UE nelle sue forme attuali poi
erano 13 su 15 i governi di centrosinistra in carica. E uomini del
socialismo europeo hanno fatto girare tante volte quelle porte
scorrevoli tra politica, finanza e tecnocrazia di cui ci parla Luciano
Gallino nella sua lucidissime descrizione del Finanzcapitalismo. E, per
venire alla nostra Italia, parlare di 20 anni di berlusconismo può
servire a definire una egemonia ma non può far dimenticare che per metà
di quel tempo ci sono stati governi imperniati sulla presenza delle
forza che fanno riferimento al socialismo europeo. Fossero stati anche
tutti passaggi necessitati, come qualcuno tende a dire, io penso che non
si possa sfuggire alla domanda chiave del perché non si e’ stati in
grado di fare altro. Altrimenti mi pare possibile che, alla fine e
nonostante qualche nuovo successo, accada al socialismo europeo quello
che e’ successo ai partiti del socialismo reale, cioè di scomparire
insieme al soggetto della loro esistenza, allora i regimi qui l’Europa
democratica.
3) Dove andiamo.
La domanda non può che vivere nell’ansia dei tempi nostri ma
richiede anche la ricerca di una risposta che sia all’altezza. Se nella
crisi sta operando una volontà costituente di un’Europa che sia fuori
del proprio modello sociale storico, direi americanizzata ma con tratti
tecnocratici e post democratici che esulano da quella stessa realtà, la
risposta non può che essere un diverso ed opposto processo costituente.
Un processo costituente del Demos e della Democrazia europea, quello che
le sinistre europee non hanno saputo fare rimanendo sia confinata
nell’alveo nazionalistico, ancor più che nazionale, ed irretite da una
globalizzazione agita dai soggetti sociali antagonisti a quelli da loro
rappresentati un tempo e non più nella nuova dimensione. Il compromesso
tra i due percorsi appare fuori dall’ordine delle cose che non danno
nessuno spazio alla rievocazione di ciò che si fece all’indomani della
seconda guerra mondiale. Uno spazio può riaprirsi solo se avviene nella
rottura dello scenario. Per questo la vicenda, e il voto, greco sono
diventati così importanti. Mai come oggi l’espressione democratica di
una alternativa reale non deve essere concepibile o, se lo diventa, deve
essere nullificata. Ma se resiste può ridare luce a molti. Perché
indica la strada della reazione al TINA, there is not alternative, di
cui si nutre il nuovo leviatano. Guardare alla Grecia serve ad Hollande
se vuole provare ad esistere fuori dalla vecchia sussunzione del
socialismo europeo di cui ho detto. E serve a noi, in Italia. Eugenio
Scalfari ha nuovamente detto con grande forza su Repubblica di domenica
10 giugno che la strada in Italia non può che essere Monti e la
continuità con le sue politiche che sono parte di quel processo
costituente dell’Europa tecnocratica di cui ho parlato. E il Fiscal
Compact per l’Italia, data la dimensione del debito, ha la stessa
valenza del Memorandum in Grecia. Questa è la Terza Repubblica che viene
auspicata. Ed ampiamente evocata dalla seconda che ha iperfetato il
governismo e destrutturato le rappresentanze democratiche. Di questa
Seconda Repubblica il centro sinistra e’ stato un protagonista,
subalterno ma effettivo. Pensare di traghettarlo nella terza e’ ancor
più che sbagliato, insensato. Ciò che rimane di quella esperienza a me
pare di stare ormai tra la crepuscolari della dissolvenza e la
sussunzione nella versione tecnocratica della Terza Repubblica. Se si
vuole ricostruire una speranza di alternativa non si può che agire in
rottura dello schema dominante. Democrazia contro tecnocrazia. Nuova
coalizione del Lavoro e nuova Alleanza tra Lavoro e Beni Comuni contro
l’accordo tra capitale finanziario e manifatturiero. Il campo di azione
e’ l’Europa, lo scenario il Mondo. Senza questa rottura ogni idea di
Governo è puro avventurismo. Ma la Grecia ci dice che il governo può
tornare ad essere reale quasi d’improvviso.
Non spetta a chi scrive di cimentarsi in soluzioni, ma in desideri
si. Cosa vorrei? Che provassimo tutte e tutti a far vivere, tutti
insieme e fuori da ogni logica di vecchia appartenenza, le piattaforme
della FIOM e dei movimenti dei Beni Comuni. E ne facessimo la ” Nostra
Rappresentanza ” e la nostra ” Alternativa “.
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