Non
è un ultimatum, è un appello; e come tale lascia, per ora, le cose come
stanno. Di Pietro e Vendola, insieme, ieri in conferenza stampa hanno
usato tutte le armi a disposizione per sganciare il Pd da Casini (o
meglio per impedire che l'alleanza sia a due, con al più qualche
comprimario, o addirittura che sia «amputato»), ma stando ben attenti a
non chiudersi tutte le porte alle spalle. Anzi, Di Pietro (pesantemente
criticato per le esternazioni contro il presidente della Repubblica
nella vicenda delle intercettazioni) ne ha persino approfittato per fare
gli auguri di compleanno a Napolitano, per dimostrare che lui rispetta
«tutte le istituzioni», che lui ha «sempre servito», ma che questo non
deve significare che lui debba «condividere tutto ciò che fanno».
Premesso
che, esordisce Vendola, «mettere in campo un centrosinistra è una
necessità per il paese» vista la drammatica condizione economica che sta
stritolando il paese a causa delle politiche liberiste della destra,
quello che i due leader propongono è «aprire un cantiere», costruire
«luoghi» per «tessere la tela programmatica» e «allargare
l'interlocuzione» con tutti i partiti interessati (anche con Casini,
dunque, perché «non è impedito il compromesso o il dialogo con i
moderati»), ma non solo. Sullo sfondo c'è, infatti, il lavorio che
soprattutto l'Idv sta portando avanti in giro per l'Italia, che se non è
un "partito dei sindaci" poco ci manca. Che si sarebbe potuto
materializzare proprio ieri se gli assestamenti di bilancio che tengono
occupati i sindaci in questi giorni non avesse impedito a Pisapia,
Doria, De Magistris e Orlando di essere presenti alla conferenza stampa
(i primi due hanno inviato un messaggio). E certo avrebbe dato tutto un
altro peso "all'appello" lanciato al Pd. Mentre oggi sempre l'Idv
riunisce a Bari i primi cittadini delle quattro più grandi città del
Mezzogiorno.
Eh sì, perché, come dice Vendola, il centrosinistra «c'è
dappertutto, ma non c'è in Italia», a causa, sostanzialmente, delle
scelte del Pd. E se il partito di Bersani pensa ad «un'alleanza
preferenziale» con l'Udc, la risposta è: «Non mi interessa». Perché,
concorda Di Pietro, «noi proponiamo un modello di governo» e non
vogliamo fare una «sommatoria numerica»: «Se essere moderati vuol dire
abolire l'articolo 18 - taglia corto l'ex magistrato - con i moderati
non possiamo stare». In altre parole, «il Pd deve chiarire la sua
posizione sul piano del programma», visto che il partito di Bersani
continua a votare fiducie su leggi che dice di voler cambiare se andrà
al governo.
Il punto è proprio questo: l'indeterminatezza dei
comportamenti politici, perché il rimescolamento delle carte non è
ancora concluso. Sono pochi, per esempio, quelli che metterebbero la
mano sul fuoco su Casini: ha davvero deciso di scegliere il campo del
centrosinistra o sta solo tentando di alzare il prezzo con il Pdl? Per
non dire del Pd, all'interno del quale ci sono almeno tre linee, quelle
che Vendola sintetizza in «quella contro Monti, quella Monti per il dopo
Monti e quella dell'oltre Monti». Tanto da pregiudicare pure le
primarie. Se le primarie sono «un congresso tra Bersani e Renzi io non
ci sto» mette in chiaro Vendola; «Non è che se vince B invece di A
cambia il programma» gli fa eco Di Pietro. Insomma, o le primarie sono
di coalizione o non sono (ma vallo a dire a Casini, che non ci pensa
proprio).
Certo, Bersani risponde a stretto giro e sembra già aver
trovato le soluzioni: le primarie, assicura, saranno di coalizione e il
Pd presenterà una carta d'intenti; Vendola, in fondo, non è contrario ad
allargare la coalizione; Di Pietro è il benvenuto se si impegna a
rispettare gli impegni di governo (Vendola dice chiaramente: «Mi siedo a
discutere con il Pd solo se c'è anche Antonio Di Pietro»). Ma, appunto,
il tutto è di là da venire. E sul tappeto resta l'interrogativo: si
potrà mai realizzare una coalizione da Casini a Vendola che si basi sui
cinque punti citati dal leader di Sel a mo' di esempio: patrimoniale,
reddito minimo, welfare ambientale, parità di genere, coppie di fatto?
Difficile crederlo, se lo stesso Vendola insiste che o c'è un
avanzamento sul piano dei diritti sociali e civili o «non lo fate il
centrosinistra, togliete la parola sinistra dopo il trattino»: «In una
coalizione che non riconosce le coppie di fatto, io non mi accomodo
nemmeno per prendere un caffè». E se Di Pietro nell'intervista a “Left”
di oggi attacca: «Nessuna alleanza con Casini: è il carnefice del
centrosinistra».
Intanto, però, il tempo passa e il rischio di questo
«tira e molla» (come lo definisce Paolo Ferrero, segretario del Prc)
tra Vendola e Di Pietro da una parte e Bersani dall'altra rischia solo
di portare acqua al mulino di Grillo. «Propongo a Vendola e Di Pietro di
smetterla - dice Ferrero - e di costruire insieme una aggregazione di
sinistra da costruirsi con comitati e movimenti sociali, che si candidi
al governo del paese su una piattaforma chiaramente antiliberista e di
alternativa, come ha fatto Syriza in Grecia». Che poi è esattamente ciò
su cui ha insistito Di Pietro, citando il lavoro sui territori e nella
società civile, ma soprattutto dicendo che «non possiamo partecipare ad
una coalizione che fa pagare i conti ai più deboli e ai più onesti».
Si
potrebbe partire già a settembre «con una manifestazione nazionale
contro il governo Monti e le sue politiche - propone ancora Ferrero -
Perché l'alternativa va costruita da subito e il popolo italiano non ne
può più di queste politiche neoliberiste». Una Syriza in Italia: e
chissà che a quel punto non sarebbe il Pd a venire con il cappello in
mano.
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