Nei cassetti del governo esiste un
piano B che potrebbe entrare in funzione nel caso in cui le dismissioni
non diano i frutti promessi. Il
dossier, preparato dalla Ragioneria, prevede il taglio degli stipendi
dei dipendenti pubblici di tutti i comparti (Stato, enti locali, scuola)
dal 2,5 al 5%, il blocco delle tredicesime per tre anni, l’aumento del
contributo di solidarietà oggi già applicato ai dirigenti (il 5% per chi
guadagna più di 90mila euro annui, 10% per chi è sopra i 120mila euro).
La stretta inciderebbe per oltre il 10% sui 167 miliardi di euro che
ogni anno si spendono per gli stipendi dei dipendenti pubblici. In altre
parole, a regime si tratterebbe di un risparmio di spesa tra i 16 e i
20 miliardi di euro.
La carta è ancora nascosta nei cassetti dei ministri competenti, e ne uscirà soltanto in caso di emergenza estrema. Per ora il piano pubblici cerca soluzioni soft, che non tocchino i redditi dei lavoratori. Il progetto si limita a un’ipotesi di riduzione della pianta organica del 5% dei ministeri e a una sforbiciata delle retribuzioni dei dirigenti. Il primo dado è stato già lanciato con l’annuncio della razionalizzazione delle agenzie del Tesoro e la riduzione del 20% dell’organico dio Via Venti Settembre, accompagnata dalla riduzione del 10% della presidenza del Consiglio. Tutte operazioni che operano su numeri teorici, senza esuberi reali. Spesso le piante organiche sono incomplete: con questa decisione si abbassa il numero di posti da coprire.
Ma se l’idea fosse estesa a tutto il settore, sia statale (come ha fatto presagire Vittorio Grilli, dichiarando il suo auspicio che tutti i ministeri seguano questo esempio) che delle amministrazioni locali, il risultato potrebbe essere un vero terremoto: i posti a rischio si avvicinerebbero alle 300mila unità. Per ora, comunque, queste non sono che proiezioni: anche se molti membri del governo, e in primo luogo il premier, amano ripetere che andrà ridefinito il perimetro della pubblica amministrazione.
Incontri e summit. La partita statali rientra in quella sulla spending review. Il governo inizierà oggi a lavorare al decreto, che dovrà essere emanato a ridosso del 28 giugno, in tempo per il vertice europeo dei capi di governo. Oggi pomeriggio è previsto un incontro tra Filippo Patroni Griffi, Vittorio Grilli e il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato. Un summit con l’obiettivo di studiare una riorganizzazione ad ampio spettro di tutta la macchina pubblica. A iniziare da quanto prevede già il Salva-Italia sulla riduzione delle Province, che potrebbero essere ridotte del 20%. Inoltre si studierà l’accorpamento dei piccoli comuni, che è già previsto per l’inizio dell’anno prossimo. Le unioni di Comuni già previste sono 5.700.
Ambedue queste partite riguarderebbero circa 300mila dipendenti pubblici. Naturalmente non si tratta di tagli, ma di spostamenti, ricollocazioni, e probabili pensionamenti. La chiusura delle Province, infatti, non significa che le funzioni affidate a quelle amministrazioni vengano attribuite alle Regioni o ai Comuni. Al Tesoro si vaglierà anche l’ipotesi di disboscamento degli enti pubblici. Il tempo stringe, e ne servirà davvero molto se l’esecutivo vorrà - come promesso - consultare le organizzazioni sindacali. Finora nessuna convocazione è partita da Palazzo Vidoni, né si conosce il destino dell’intesa firmata a inizio maggio tra Filippo Patroni Griffi e le rappresentanze dei lavoratori. «Avevano detto che si sarebbe tradotta in una delega o in un decreto - dichiara Michele Gentile, della Cgil - ma non si vede ancora nulla». I sindacati rigettano anche l’idea che il settore pubblico sia oggetto di ridefinizioni nell’ambito della spending review.
«Si può pensare certamente a una riorganizzazione - dichiara Giovanni Faverin della Cisl Funzione Pubblica - ma si tratterebbe di un’operazione che richiede tempi lunghi, e che certamente non farebbe subito cassa». Per ottenere risorse subito, si starebbero studiando espedienti meno strutturali, come il taglio degli straordinari e quello di un euro per i buoni pasto dei dirigenti. Possibile anche una diversa organizzazione dei distacchi. Alcuni ministeri, come la Giustizia e l’Interno, già da tempo stanno ridisegnando la geografia delle sedi periferiche. Sacrifici in cambio di efficienza con la promessa di far «rinascere» il Paese: questo ha chiesto agli statali Patroni Griffi.
La carta è ancora nascosta nei cassetti dei ministri competenti, e ne uscirà soltanto in caso di emergenza estrema. Per ora il piano pubblici cerca soluzioni soft, che non tocchino i redditi dei lavoratori. Il progetto si limita a un’ipotesi di riduzione della pianta organica del 5% dei ministeri e a una sforbiciata delle retribuzioni dei dirigenti. Il primo dado è stato già lanciato con l’annuncio della razionalizzazione delle agenzie del Tesoro e la riduzione del 20% dell’organico dio Via Venti Settembre, accompagnata dalla riduzione del 10% della presidenza del Consiglio. Tutte operazioni che operano su numeri teorici, senza esuberi reali. Spesso le piante organiche sono incomplete: con questa decisione si abbassa il numero di posti da coprire.
Ma se l’idea fosse estesa a tutto il settore, sia statale (come ha fatto presagire Vittorio Grilli, dichiarando il suo auspicio che tutti i ministeri seguano questo esempio) che delle amministrazioni locali, il risultato potrebbe essere un vero terremoto: i posti a rischio si avvicinerebbero alle 300mila unità. Per ora, comunque, queste non sono che proiezioni: anche se molti membri del governo, e in primo luogo il premier, amano ripetere che andrà ridefinito il perimetro della pubblica amministrazione.
Incontri e summit. La partita statali rientra in quella sulla spending review. Il governo inizierà oggi a lavorare al decreto, che dovrà essere emanato a ridosso del 28 giugno, in tempo per il vertice europeo dei capi di governo. Oggi pomeriggio è previsto un incontro tra Filippo Patroni Griffi, Vittorio Grilli e il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato. Un summit con l’obiettivo di studiare una riorganizzazione ad ampio spettro di tutta la macchina pubblica. A iniziare da quanto prevede già il Salva-Italia sulla riduzione delle Province, che potrebbero essere ridotte del 20%. Inoltre si studierà l’accorpamento dei piccoli comuni, che è già previsto per l’inizio dell’anno prossimo. Le unioni di Comuni già previste sono 5.700.
Ambedue queste partite riguarderebbero circa 300mila dipendenti pubblici. Naturalmente non si tratta di tagli, ma di spostamenti, ricollocazioni, e probabili pensionamenti. La chiusura delle Province, infatti, non significa che le funzioni affidate a quelle amministrazioni vengano attribuite alle Regioni o ai Comuni. Al Tesoro si vaglierà anche l’ipotesi di disboscamento degli enti pubblici. Il tempo stringe, e ne servirà davvero molto se l’esecutivo vorrà - come promesso - consultare le organizzazioni sindacali. Finora nessuna convocazione è partita da Palazzo Vidoni, né si conosce il destino dell’intesa firmata a inizio maggio tra Filippo Patroni Griffi e le rappresentanze dei lavoratori. «Avevano detto che si sarebbe tradotta in una delega o in un decreto - dichiara Michele Gentile, della Cgil - ma non si vede ancora nulla». I sindacati rigettano anche l’idea che il settore pubblico sia oggetto di ridefinizioni nell’ambito della spending review.
«Si può pensare certamente a una riorganizzazione - dichiara Giovanni Faverin della Cisl Funzione Pubblica - ma si tratterebbe di un’operazione che richiede tempi lunghi, e che certamente non farebbe subito cassa». Per ottenere risorse subito, si starebbero studiando espedienti meno strutturali, come il taglio degli straordinari e quello di un euro per i buoni pasto dei dirigenti. Possibile anche una diversa organizzazione dei distacchi. Alcuni ministeri, come la Giustizia e l’Interno, già da tempo stanno ridisegnando la geografia delle sedi periferiche. Sacrifici in cambio di efficienza con la promessa di far «rinascere» il Paese: questo ha chiesto agli statali Patroni Griffi.
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