In Inghilterra è in corso una durissima polemica
sulla privatizzazione degli spazi pubblici. Evidentemente in quel Paese
non si è persa memoria dei devastanti effetti della pratica
sei-settecentesca delle enclosure, ben descritta nelle opere
di Marx, Engels e Polanyi, che portò alla espropriazione dei beni
demaniali (e alla riduzione in miseria di milioni di contadini) da parte
dei landlord, preparando il terreno alla nascita del moderno
capitalismo. Oggi oggetto di cupidigia di un
capitalismo post moderno ma non meno feroce non sono più foreste,
pascoli e altri territori demaniali (gli antichi commons medievali) ma piazze, parchi e interi quartieri cittadini.
Con la scusa di “risanare” un territorio urbano che le esauste casse
delle amministrazioni locali (falcidiate dai tagli dei governi
neoliberisti) non riescono più a curare, industrie e società finanziarie
globali allungano gli artigli sugli spazi pubblici che, una volta
trasformati in proprietà privata, non vengono più presidiati e difesi
dalla polizia ma da guardie armate assoldate dai nuovi padroni. Così lo
spazio pubblico si restringe e si restringono anche i diritti di
fruizione che tradizionalmente lo regolavano, sostituiti dall’arbitraria
volontà dei proprietari fatta valere con la forza.
Fra le prime vittime il diritto di manifestare liberamente: si
moltiplicano i casi in cui a studenti e lavoratori si impedisce di
radunarsi e “occupare” simbolicamente luoghi (non più) pubblici: le
guardie private li ricacciano oltre i confini dei nuovi “paradisi” protetti.
Da noi, intanto, il governo dei “tecnici” ci ha appena comunicato
che, per risanare i buchi del pubblico bilancio (di cui i risanatori
sono i primi responsabili, come classe se non come individui) metterà in
vendita i pezzi pregiati del nostro patrimonio pubblico, sia a livello
dei beni dello stato centrale, sia a livello dei beni del governo
locale: beni mobili e immobili, beni demaniali, partecipazioni in
imprese municipalizzate e quant’altro finiranno nelle mani di privati
che ne faranno ciò che vorranno (li trasformeranno cioè in fonti di
profitto ignorando interessi e diritti dei comuni cittadini).
Spiagge trasformate in stabilimenti privati a caro prezzo, edifici e
spazi pubblici “riqualificati” e chiusi alla fruizione di massa, servizi
convertiti in macchine per estorcere denaro a utenti già massacrati
dalla crisi e, perché no, rimessa in discussione (sta già succedendo con
l’appoggio dei maggiori media nazionali) degli esiti del referendum
contro la privatizzazione dell’acqua.
Tanto, come dimostra il caso greco, la casta neoliberista attribuisce
al voto popolare lo stesso valore della carta igienica con cui si
pulisce il lato B. Il tutto nell’assordante silenzio delle forze
politiche che hanno ancora la faccia tosta di definirsi “di sinistra”.
Fino a quando permetteremo loro di abusare della nostra pazienza?
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