PERUGIA - Soleva affermare Lucio Libertini, spirito
libero e anima inquieta, uno degli indimenticati “fondatori” di
Rifondazione comunista, di “non aver mai letto un documento” nella sua
lunga esperienza politica e istituzionale, sottintendendo il fatto che a
dare il segno della bontà di un soggetto politico e, soprattutto, della
sua coerenza e “sincerità”, non potesse essere un testo scritto a
tavolino, ma facessero fede l’esperienza pratica e i suoi atti concreti .
Avrà pur ragione Libertini e, però, la lettura del Programma e dello
Statuto (anzi del “Non statuto”, così è definito) del Movimento 5
Stelle può essere “istruttivo” per capire con che cosa si ha a che fare.
Il programma è quello di una associazione dei consumatori. Non c’è
che dire, Grillo e i suoi, colgono, in questo, uno degli elementi
salienti della crisi attuale della politica: e cioè la scarsa
credibilità e il rifiuto delle “grandi idee” e dei grandi progetti” e la
tendenza a rifugiarsi nelle “cose concrete”, magari di scarso respiro,
ma fattibili e attuabili (che è l’elemento che ha “costruito” la buona
reputazione dei sindaci leghisti). Questo senso comune largamente
diffuso è stato determinato dal “combinato disposto” esercitato dal
discredito dei partiti, dei loro linguaggi, delle loro ritualità, ormai
giudicate ipocrite, menzognere e insopportabili, dal crollo dell’idea
che possa esistere una “alternativa” al modello di società attuale e
dall’affermazione di un sempre più esasperato individualismo, come
prodotto della frantumazione degli interessi Questo elemento del “basso
profilo” suona come un allarme particolare per le forze della sinistra e
per i comunisti che hanno sempre fatto del collegamento tra il
“particolare e il quadro generale” e dei “grandi progetti di
cambiamento” la loro carta di identità e anche il proprio elemento di
forza e consenso.
Il Programma del “m5s” è, al contrario, un documento di carattere
prettamente “sindacale” e rivendicativo, (tra l’altro in molte parti,
più che per proporre cose, pare ritagliato su misura per compiacere e
cavalcare le spinte e le richieste “spontanee” dell’opinione pubblica)
ma del tutto parziale, insufficiente e lacunoso (in realtà non potrebbe
essere preso in nessuna seria considerazione) per governare un Paese o
anche per fare l’opposizione al governo di un Paese, che sono gli
obiettivi ai quali, evidentemente, tende una forza che si presenta alle
elezioni (se no, che si presenta a fare?).
Ma, il “difetto” più grosso, del programma “grillino”, non è nemmeno
questo: perché è vero, come lo stesso Grillo ha affermato in una
recente intervista, che molte delle proposte sono classificabili “di
sinistra” o attengono alla tradizione culturale della sinistra, (altre
scontano una ambiguità di fondo come la “fine” dei monopoli pubblici in
campo energetico; per fare cosa, darli in mano ai privati?), ma il punto
è che il complesso del documento appare, come dire, “tecnico”, neutro,
senza un’anima “politica” che non sia quella, l’unica, di una guerra
senza quartiere al sistema putrefatto dei partiti. Da questo punto di
vista, anche se pare un paradosso affermarlo, esiste una strana analogia
del “grillismo” col “montismo”: cioè l’idea che possano esistere, per i
problemi, buone soluzioni “tecniche” che prescindano dalla scelta tra
le forze e gli interessi materiali in campo, non soltanto appartiene al
campo della filosofia “idealista” (e questo sarebbe il meno) , ma è, in
se, profondamente conservatrice, nel senso di una piena compatibilità
col segno e le gerarchie del potere esistenti e, conseguentemente,
radicalmente contraddittorio con quella rivoluzione del “sistema” e del
protagonismo della gente invocate a parole. Questo è vero anche nelle
parti per così dire più “radicali” del programma. Mettere il limite del
10% alla detenzione di quote azionarie di proprietà di una banca non
risolve in nulla il problema del loro strapotere, perché significa
ignorare che una società per azioni può essere governata anche detenendo
una piccola quota delle azioni (la famiglia Agnelli nella Fiat ne ha il
16%) e che già oggi il pacchetto azionario delle principali banche
d’affari, almeno in Italia, è ripartito in quote simili o inferiori al
10 per cento che, peraltro, nessun piccolo azionista sarà mai in grado
di avvicinare o “contendere”.
Ma che l’obiettivo di Grillo sia del tutto diverso da quello di una
rivoluzione democratica è reso evidentissimo dal testo del “non
statuto”: negando (o con la scusa di negare) i partiti, il loro modo di
essere e di funzionare (e fin qui si può essere d’accordo), si negano in
realtà le “regole” in quanto tali, che sono, in ogni epoca, il
fondamento del funzionamento democratico di ogni aggregato umano. Nella
assenza pressoché totale di norme o nella loro assoluta genericità e
indeterminatezza, tutto viene in realtà consegnato e riposto nella
figura di un autocrate o dittatore assoluto (è difficile trovare altra
definizione) che, nella persona di Grillo, detiene la proprietà del
marchio e decide, senza discussione e senza appello, chi entra e esce
dall’organizzazione e come l’organizzazione può e deve funzionare.
Discussioni assembleari di “persone vere” (non quelle “drogate” dalla
“tecnica” del web o comizi dove uno parla e gli altri ascoltano),
organismi collegiali, quote di rappresentanza, autonomie tematiche e
territoriali, organismi decentrati? Niente di tutto questo; li c’è uno
solo che, computer alla mano, decide per conto di tutti. Altro che
leaderismo!, se il leaderismo è uno dei mali principali che affliggono
oggi il nostro sistema politico.
Illuminante e, in un certo senso, “agghiacciante” la parte del “non
statuto” dedicata alla questione più spinosa, quella delle candidature.
“Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a
consultazioni elettorali nazionali o locali – si legge - potranno essere
meglio determinate in funzione della tipologia di consultazione ed in
ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo”. Se l’indicazione
di vincoli e limiti è la condizione unica attraverso la quale una parte
“debole” può farsi valere nei confronti di quella più “forte”, qui siamo
alla perpetuazione della continuità del potere del “forte”.
Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Il movimento di Grillo è
sicuramente una novità, ma non è innovativo. Non va blandito, ma
contrastato. Certo, e qui viene il difficile, essendo capaci di usare
l’arma che alla lunga può essere sempre vincente: quella di praticare
una “buona politica”, nel programma e nel modo, esemplare, di essere.
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